venerdì 12 febbraio 2010

Freud's Theory and Creativity


by NY BIENNALE ART

LA TEORIA DELL’ARTE E DELLA CREATIVITÁ DI FREUD.
Questo capitolo esamina le tendenze generali degli scritti di Freud sull’Arte nonché
la relazione di quest'ultima con la sua stessa meta psicologia. La mia intenzione è
dimostrare che il contributo di Freud all’estetica, anche se criticato per essere
ambivalente ed incompleto, risulta significativo in quanto fonte di contributi
posteriori nell'ambito delle ricerche della British School of Psychoanalysis.
Queste considerazioni vogliono essere un punto di partenza per la comprensione
delle teorie Kleiniane e Post-Kleiniane sviluppate sull'arte e sulla creatività.
Si vuole valutare in che modo Freud abbia diretto l’attenzione verso quei concetti di Estetica che sono la natura dell'esperienza creativa, l'universo inconscio dell'artista, l'interpretazione dell'arte e la natura dell'esperienza estetica.
Anzitutto dovrei introdurre il concetto freudiano di “patografia”. Si veda l'esperienza artistica come “forma privilegiata di nevrosi” attraverso la quale il critico-psicologo esplora l'opera d'arte per scovare quelle esperienze della vita dell'artista che riflettano le motivazioni psicologiche autrici del processo creativo. Posto che si tratti di un metodo che presenta molti limiti, ritengo necessario richiamare l'attenzione verso il legame tra il contenuto dell'opera d'arte ed il subconscio dell'artista. Questa visione è da integrare dalla Teoria della Seduzione (Freud, 1905) relativamente alla descrizione dei processi primari e secondari. Anche se Freud non ha proseguito completamente la sua ricerca nella relazione tra Teoria della Seduzione ed Esperienza Estetica, questo suo approccio sembra più completo rispetto a quello patografico avvicinando la struttura formale dell'arte con la natura dell'esperienza estetica. L'analisi in questione rappresenta solo una delle molteplici proposte analitiche, risulta interessante in quanto il prodotto artistico è visto come il risultato di un processo. Questo modello compensa l'enfasi data all'analisi psicoanalitica dei contenuti per la quale sono stati criticati Freud e il tradizionale approccio patografico.
1. Patografia e Modello “neurotico”
Freud introdusse per la prima volta il termine patografia nel suo saggio su Leonardo
(Freud 1910). La patografia, secondo Freud, non aveva lo scopo di rendere
intelligibile il genio di Leonardo, e sicuramente (egli argomentava) nessuno poteva
essere biasimato per non aver l'intenzione di ostentare il proprio lavoro. Freud
proseguiva comparando l'approccio biografico con quello patografico, individuando
che la differenza essenziale risiedeva nello sguardo.
I biografi spesso assumono una posizione divinizzante rispetto al proprio soggetto,
come ammiratori di fronte al proprio eroe. Il patografo (in questo caso Freud), più
disinteressato, raggiunge una dimensione di analisi meno idealizzata, abbordando
maggiormente la realtà. L'approccio di Freud è centrato nell'esperienza dell'artista,
come un detective, egli tenta di ricostruire il passato del proprio soggetto scoprendo i possibili complessi, le repressioni e le nevrosi. L'artista è trattato come un paziente e il suo prodotto artistico viene analizzato attraverso l'apporto psicologico che implica. Il processo artistico è visto come una forma di espressione e/o un dialogo con eventuali pressioni psicologiche.
Il patografo manifesta le stesse qualità “oggettive” dello psicologo, egli è capace di guardare all'artista e al suo lavoro come se stesse conducendo un analisi, in questo caso però, è significativa l'assenza di un vero e proprio “paziente” che possa
rispondere da controparte. É dato per assunto che la produzione artistica riesca a
mettere in luce tanto I conflitti interiori quanto le paure represse del proprio autore, spesso di natura infantile. Ciononostante uno dei maggiori limiti di quest'approccio è che Freud non da una spiegazione alla valorizzazione artistica dell'opera, qualunque sia l'origine dell'impulso creativo , Freud non ci spiega perché valutiamo più positivamente un opera d'arte piuttosto che un altra.
Ciò che è cruciale per il metodo patografico, è il modo in cui l'analista-critico è
capace di usare elementi biografici per rivelare l' universo interiore dell'artista e
trovare un senso alla stessa creazione. Esso può prendere due direzioni:
1- l'opera d'arte può aiutarci a spiegare la psiche dell'artista
2- così anche le esperienze biografiche dell'artista possono aiutarci a capire l'opera.
Freud, nella sua indagine clinica, ha trascurato la dinamica della contratrasferenza
(risposta emozionale dell'analista verso il paziente, oggi considerata dai terapeuti
un importante aspetto nella comunicazione tra il soggetto analizzante e il soggetto
analizzato) vedendola come un intralcio per il lavoro analitico (si veda ad esempio il caso di Dora ). La sua tendenza è stata di ridimensionare il peso delle proprie
valutazioni in quanto reazioni emotive difronte all'opera d'arte.
Malgrado la sua presumibile posizione critica, Freud è stato senza dubbio attratto
verso quegli artisti e quelle opere che si riflettevano nelle sue stesse paure, che lo identificavano in un certo modo, fornendoci così interpretazioni piuttosto
arbitrarie.
Il Mosé di Michelangelo è noto per aver messo in crisi Freud di fronte alle sue stesse preferenze e abilità critiche. (1914). Egli ci dice di “non essere un conoscitore d'arte, ma un semplice profano” e che i contenuti di un opera
d'arte lo attraggono più della loro stessa forma o delle tecniche di realizzazione. Egli afferma di essere per questo “incapace di apprezzare la maggior parte dei metodi
applicati e i conseguenti risultati ottenuti nel processo creativo”. L'interpretazione freudiana del Mosè di Michelangelo è centrata sull'identificazione dell'analista prima con lo scultore, al fine di arrivare a comprendere le motivazioni che sono servite da motore all'esperienza creativa, poi con l'opera, lo stesso Mosè.
Quest'interpretazione soggettiva non è basta sulle qualità formali del prodotto
creativo bensì su un identificazione di stampo concettuale. C'è da chiedersi perché
Freud sia stato attratto proprio dal soggetto di Mosè. Una spiegazione si può trovare
nel suo ultimo lavoro “Mosè e il Monoteismo” (1939).
“Fu un uomo, Mosè” , annotava Freud in questo libro, “che creò il popolo ebraico. A
lui gli ebrei devono la loro tenacia nell’affrontare la vita, tanto come a lui devono
molti dei problemi che hanno avuto e continuano ad avere” .
Era inevitabile che Freud in quanto ebreo, fosse affascinato dalla statua di Mosè,
nonché dal significato psicologico del personaggio.
Egli descrive :
“Quante volte ho salito la rapida scalinata che porta dall'infelice via Cavour alla
solitaria piazza dove sorge la chiesa abbandonata, e sempre ho cercato di tener testa
allo sguardo corrucciato e sprezzante dell'eroe, e mi è capitato di svignarmela poi
quatto quatto dalla penombra di quell'interno, come se anch'io appartenessi alla
marmaglia sulla quale è puntato il suo occhio, una marmaglia che non può tener
fede a nessuna convinzione, che non vuole aspettare ne credere, ed esulta quando
torna ad impossessarsi dei suoi idoli illusori” (2)
Senza dubbio 'interpretazione della statua di Freud è strettamente collegata alla
parentela dello psicologo con Mosé. Così come Mosé faticava per ottenere l'autorità
sul suo popolo, Freud come padre fondatore della psicanalisi, doveva combattere
contro i suoi seguaci sleali per difendere ciò in cui credeva: la sua legittima
posizione di autorità all'interno della sua cerchia di psicanalisti. (3)
Un approccio critico verso la patografia può essere fatto attraverso la tradizione
Romantica. La posta in gioco per entrambi i modelli (romantico e patografico),
risiede nel fatto che una particolare opera può riflette la psiche del suo creatore a
patto che il lavoro sia spontaneo, genuino e sincero. La realtà, così raffigurata dalle
arti visive, o descritta in poesia, è vista prima di tutto come una proiezione dello
stato psichico dell'artista, si può dire che l'opera d'arte sia essenzialmente
l'esternazione del mondo interiore dell'artista. La questione sollevata da chi si
occupa di patografia è, quali siano quei sentimenti, stati psichici, conflitti o desideri (possibilmente occulti) che vengono espressi. La critica romantica assume
che l'animo dell'artista trova concreta espressione in questo tipo di creazione (senza spiegare esattamente come e perché) . Quest'approccio raggiunse sia gli scritti clinici di Freud che la sua teoria estetica. C'è da tenere presente che questa visione romantica non solo influenz le idee di Freud (in particolare nelle ò storie dei casi, considerati più letteratura che testi clinici) ma favorì soprattutto la loro stessa fruizione.
All'Interno dell'approccio romantico verso l'arte (com'è stato documentato da teorici
quali Meyer Howard Abrams e Mario Praz, per esempio) il focus è su un certo tipo
di concezione della personalità artistica: l'artista fragile, particolarmente sensibile, sempre “posseduto”, “pazzo”, rispolverandone la visione platonica.
Anche ai nostri giorni è usuale incontrare opinioni che vedano gli artisti come
“persone con conflitti interiori particolarmente intensi e profondi”, affermazione
contenuta nel significato del termine “patografia”. Coloro che adottano questo
modello danno per assunto che analizzando l'opera d'arte si possa arrivare a
conoscere le repressioni, i complessi e le ansie dell'artista e che la stessa analisi può essere fatta a partire dalle conoscenze bibliografiche di quest'ultimo. Questo modello presenta dei limiti poiché afferma anche che le opere l'arte siano di natura il risultato di un conflitto. Il modello patografico fornisce uno scarso contributo alla ricerca del concetto di valore estetico tanto come all'origine dell'impulso creativo, e non da una completa visione di quella che è la natura dell'esperienza estetica.
Questo modello potrebbe al massimo fornirci una psico-visione della storia
dell'artista e la sua trasposizione dell'opera. Come modello su cui fondare una vera e propria teoria estetica risulta quindi inadeguato.
Anche Freud affermava l'ambivalente capacità della psicoanalisi di illuminare
l'esperienza artistica ed estetica nonché di indirizzare la valutazione dell'opera.
Scriveva in maniera ottimistica che il lavoro degli psicoanalisti favoriva la capacità di comprendere le interrelazioni tra le impressioni che essi avevano dell'opera d'arte e la vita, le esperienze, il lavoro dell'artista. Da queste interrelazioni si poteva ricostruire il processo creativo. Freud affermava che parte del processo creativo potesse essere è condiviso e condivisibile con ogni uomo. (5)
Sicuramente il suo studio su Leonardo è stato svolto a partire da queste premesse e
attraverso la memoria legata all'infanzia. Qualche riga dopo Freud ammette che lo
studio psicoanalitico è incapace di chiarire i due problemi che probabilmente
interessano di più il critico profano: quale sia la natura e il senso dell'opera, nonché la tecnica artistica. Quest'ambivalenza attraverso la comprensione psicoanalitica dell'arte non era nuova e si ripresentava attraverso gli scarsi documenti scritti in materia. Dodici anni prima ad esempio egli scrisse che “il luogo da cui scaturisce la creatività dell'artista non interessa la psicologia”. Invece questa capacità risulta essere di vitale importanza, permette all'artista di incanalare l'energia nella creazione e non nella malattia.
Benchè Freud si interessasse da una parte delle connessioni tra infanzia e biografia
dell'artista e dall'altra della sua reazione a queste connessioni considerando questo
processo uno dei più interessanti soggetti di studio analitico, egli sottolineava che il “problema della creazione artistica le la sua conseguente valutazione avrebbero necessitato ulteriori studi”. Rimaneva cos convinto che la psicologia ì sarebbe stata capace in futuro di trovare risposte se solo avesse voluto interessarsi al problema.
Freud e chi seguiva la sua dottrina erano d'accordo sul fatto che in un opera d'arte
ci celavano conflitti interiori e fantasie (7) alcuni dei suoi scritti volevano essere vere e proprie psico-biografie dell'artista. Per esempio, nei suoi studi su Leonardo (1910) egli ricostruì gli sviluppi psico-sessuali dell'artista usando scarsi dati biografici, ciò che a memoria ricordava, e due dei suoi dipinti: “Monna Lisa” e Sant'Anna, la “madonna e il bambino”. Egli collegò le esperienze infantili di
Leonardo con i suoi posteriori conflitti tra creatività scientifica e artistica. Nel suo saggio “ Dostoevsky e il parricidio” (1928) attraverso l'analisi dei fratelli Karamazov alla luce delle esperienze di Dostoevsky, tent di ricostruire ò la personalità dell'artista, cercando di spiegare la sua epilessia, il gioco d'azzardo e la sua etica.
Anche se l'approccio psico-biografico è stato criticato sotto molteplici aspetti viene preso in considerazione non per il fatto di fornire una falsa ricostruzione della vita interiore dell'artista, ma per portare alla luce fantasie espresse dalla stessa opera d'arte.
Il suo studio su Leonardo, per esempio, introduce per la prima volta la descrizione
clinica di una certa forma di narcisismo e di scelta narcisistica, e illustra molti altri aspetti della psico-sessualità infantile.
Nel saggio su Dostoevsky, Freud illustra le sue intuizioni riprendendo il tema
universale del Complesso di Edipo e a partire da quest'analisi fa derivare nuove
intuizioni.
Per esempio, nel libro descrive la scissione della personalità in maniera più chiara
rispetto ai suoi scritti di orientamento clinico. Il documento che descrive la la
visione di Freud sull'arte e sulla creatività è intitolato “Creative writers and day
dreamer” (“Creativi e sognatori”, 1908). Qui Freud da una descrizione della
creatività dando all'artista il ruolo di sognatore nevrotico e permettendoci di godere senza paura dei nostri sogni. L'artista è ritratto come un egoista, la sua creazione è valutabile solo fino a quando produce una specie di effetto narcotico, offrendo sia all'artista che al pubblico una sostituzione, una fuga, dalla realtà.
Il sognatore ignora la realtà nel suo sogno e tenendo tra le sue mani le redini del
piacere cavalca fantasie illusorie. Allo stesso modo l'artista crea un mondo di
fantasia in cui può soddisfare i propri desideri inconsci, egli però differisce dal
sognatore in un aspetto significativo: è capace di trovare un modo di tornare alla
realtà attraverso la creazione, con uno sguardo simile al gioco dei bambini, dove il
mondo esterno è costruito attorno ai propri desideri.
Freud comunque contrappone il gioco rispetto alla realtà, punto di vista poi
cambiato dalla Scuola Britannica. (Dovremmo vedere poi che per teorici come Klein
e Winncott, il gioco è legato in modo intrinseco allo sviluppo del senso della realtà
ed è visto come un attività essenziale per il nostro benessere psicologico così come
per il nostro sviluppo creativo)
In “ Precisazione sui due principi dell’accadere psichico” (1911) Freud trattò la
riconciliazione tra i principi di (piacere e realtà) in maniera peculiare.
Un artista è fondamentalmente un uomo che fugge dalla realtà perché non riesce a
trovare un accordo tra istinto e ragione e quindi può permettere che i suoi desideri
erotici e ambiziosi si realizzino in un universo di fantasia. Con questo dono speciale egli riesce a creare una nuova realtà, valutata dalla gente come un particolare punto di vista. Così in un certo modo egli diviene un eroe, il re, il creatore, accoglie consensi, senza aver commesso reali alterazioni al mondo esterno. Tutte le persone sentono la stessa insoddisfazione dell'artista risultato dalla sostituzione del principio del piacere con quello della realtà , questa insoddisfazione è essa stessa parte della realtà. E' più o meno la stessa formulazione che Freud faceva nelle sue “Letture introduttive” del 1915-17. Ancora una volta riguardavano la dinamica del processo creativo dell'artista fornendoci altri elementi rispetto ai problemi legati agli aspetti formali dell'arte e alla valutazione estetica.
Nel formulare un contrasto tra l' artista e chi non lo è, Freud suggerisce che il vero artista ha la capacità di trovare un modo di vedere la realtà, sapendo come
elaborare i suoi sogni.
...quindi a scapito di ciò che è più intimo in questo processo l'artista riesce a
condividere con il mondo le sue stranezze, esorcizzandole. Egli è capace di criptare
il messaggio, cambiando forma ad un idea fino a che risulti un immagine di sua
fantasia. L'artista quindi crea l'occasione per il pubblico di trarre inconsciamente
consolazione e sollievo dalle loro stesse paure.
Ma tutto questo potere che risiede nell'artista, secondo Freud, vanta di un solo
obiettivo: “acquisire onore, potere e l'amore delle donne”
Tuttavia Freud si rende conto che c'è più espressione artistica che nevrotico
appagamento di desideri, qualcosa che fa si che gli artisti trasformino le loro
fantasie egoistiche in un prodotto che possa essere apprezzato da un pubblico.
In “creativi e sognatori” (1908) Freud ammette che le fantasie di un uomo di talento
letterario danno piacere, mentre le fantasie di un sognatore ordinario sono solo
capaci di annoiarci, o non interessarci. Ma è esattamente come lo scrittore realizza il
suo effetto di piacere spogliandosi dei suoi più profondi segreti. L'essenziale ars
poetica è situata nella tecnica di vincere il senso di repulsione in noi, indubbiamente
connesso alle barriere che sorgono tra il nostro io e gli altri. Questa tecnica si può
vedere in due diversi modi. Lo scrittore raddolcisce la personalità egoistica dei suoi
desideri alterandola e travestendola e ci corrompe attraverso la purezza formale,
offrendoci la parte più “estetica” delle sue fantasie. (10) Questo passaggio è una
delle poche volte in cui Freud ammette che la purezza formale in un opera d'arte
pu dare piacere. Le implicazioni di questa affermazione ò non vengono però più
ritrattate. L'opera d'arte rimane una mera esca, uno strumento in più per ricavare
piacere. Freud conclude che tutto il piacere artistico che proviamo leggendo i lavori
degli scrittori è lo stesso identico piacere liberatorio che prova lo scrittore nello
scrivere. Quindi malgrado la consapevolezza del significato della purezza formale
attribuita alle considerazioni estetiche, Freud ritorna sempre alla dinamica del
processo creativo dove l'arte è vista essenzialmente come terapia per curare quegli
istinti repressi per colpa della società.
C'è un metodo che giustifichi o valuti il contenuto dell'opera d'arte, in un approccio
centrato sul soggetto, interpretandolo come se fosse una messa a nudo dell'artista in
una sorta di autocritica? Il patografo è alle prese con le relazioni tra un artista e la
sua opera d'arte, la natura del processo creativo e i problemi d'identità ed
espressione. Sebbene la psicoanalisi si riferisca essenzialmente alle realtà intime che
Eva Beghin, prova di traduzione inglese-italiano.
06/12/2009
agli eventi esterni e la proposta di ricostruzione sia ottenere un quadro più chiaro
della psiche dell'artista anziché raggiungere la verità. Uno dei paradossi
nell'applicazione della psicoanalisi è che, in assenza di dati clinici, il patografo deve
utilizzare i dati esterni come via d'accesso ai dati interni. Tale metodo è pieno di
insidie, la più comune è partire da dati esterni incompleti o inaccurati, avendo così
una contratrasferenza indiscreta rispetto agli affetti e alle fantasie subconsce che il
soggetto evoca nell'interprete.
Comunque nei casi in cui la critica soccomba a questi pericoli, l'interpretazione che
ne risulta potrebbe avere un valore. Questo pu essere dato in parte ò alla ricerca di
verità narrativa nell'interpretazione e alle risonanze inconsce dell'opera d'arte con
la critica. Si potrebbe anche dire esserci un bisogno di trovare un senso attraverso
un immedesimazione, tracciando motivi che aderiscano con il mondo interiore del
pubblico, dell'artista, dell'opera d'arte.
(è lo spirito che informa la critica estetica di Adrian Stokes che sarà esaminata nel
capitolo 3, sezioni 2 e 3).
Data l'esistenza di un condivisibile mondo inconscio, anche un interpretazione di
questo tipo può forse sembrare vera. Ci sono comunque vari stili di approccio
patografico che prendono luogo cambiando l'enfasi nelle relazioni tra l'artista e il
suo lavoro e concepisce il bisogno di interpretare qualcosa di diverso. (11)
La più grande valutazione dell'approccio patografico forse mente nel modo in cui
aiuta a scoprire i diversi significati dell'immaginario dell'artista esplorandone la
genesi e gli effetti che esso evoca. Il patografo inoltre limita la sua inchiesta legando
l'opera d'arte al proprio creatore in un legame diretto tra il subconscio dell'artista e
la sua opera d'arte. Così il valore dell'opera d'arte è direttamente collegato alla
natura della psiche dell'artista. Con quest'approccio patografico c'è il pericolo che il
punto di vista dello spettatore venga ignorato.
Eva Beghin, prova di traduzione inglese-italiano.
06/12/2009
(Come vedremo nella seconda parte, la dimensione estetica al di fuori della
patografia, è assolutamente centrale nel pensiero della British School of
psychoanalisis).
Eva Beghin, prova di traduzione inglese-italiano.
06/12/2009
2- La teoria psicanalitica del gioco.
Nelle sue analisi riguardanti la struttura del gioco, Freud elabora una estetica
embrionale, alternativa al suo studio patografico. Nonostante sia stata abbandonata
senza uno sviluppo in relazione alla comprensione dell’arte, Freud ne sviluppò
un'estensione riguardante lo studio dell’estetica. Così ne “La storia del movimento
psicoanalitico” scrive che il “primo esempio di un’applicazione del pensiero
analitico dell’estetica era contenuto nel mio libro riguardante il gioco.”
Nonostante la teoria di Freud sulla struttura del gioco abbia ricevuto minor
attenzione rispetto alla sua “teoria generale della nevrosi”, un certo numero di
analisi condividevano il giudizio che si trattasse del più promettente approccio di
Freud all’estetica psicoanalitica. La teoria psicanalitica del gioco, fornisce uno studio
più completo rispetto alla teoria della nevrosi in relazione al modo in cui i processi
psichici sono portati a sostenere gli aspetti formali dell’arte, e come ciò si relazioni
con l’esperienza del piacere estetico.
Freud distingue tre fasi nell’evoluzione del gioco, che sorgono dalle basi del gioco
primitivo. La prima è al “livello del piacere” del bambino nei giochi di
riconoscimento, che spesso si manifestano nel gioco verbale, poiché “Nell'attività
ludica i significati delle parole si sostituiscono agli oggetti, si arriva
all'appagamento per un processo di economia cognitiva”, Il risparmio energetico è
già di per sé piacevole, i giochi scoperti in questo contesto quindi, hanno lo scopo di
aumentare ancor più la soddisfazione.
Il secondo livello dello sviluppo del gioco si sposta dal livello di piacere a quello di
“burla”. Esso si traduce in una concessione alla crescente domanda dell’intelletto,
che non si accontenta di restare legata al mero piacere del trovare significato alle
parole. “Il significato dello gioco è meramente inteso a proteggere il piacere dalla
Eva beghin, prova di traduzione inglese-italiano.
06/12/2009
censura.” (p.131). Ci che distingue la burla dal “gioco” vero e ò proprio è che esso è
“non-tendenzioso”; esso non ha significato – il suo solo scopo è di dare piacere.
Il terzo stadio è il vero e proprio gioco, quello “tendenzioso”, in cui c’è uno scopo
distinto, una sfida ad ogni tipo di inibizioni personali o sociali. Ci sono due forme,
l’ostile e l’osceno. L'ostile permette di esprimere “aggressività, satira, o difesa”,
l'osceno “sottostà allo scopo dello smascheramento" (p.133). A questo livello, il gioco
verbale lavora congiuntamente al proposito tendenzioso.
Freud considera questo tipo di gioco come una triplice relazione. Chi parla chiede
che l’ascoltatore sia un “alleato”: la prima e la terza persona sono quindi alleati
contro la seconda persona o oggetto, destinatario del gioco. Come prototipo del
gioco tendenzioso Freud cita l’esempio delle “macchie di fuliggine”, il gioco sporco.
Alla prima e alla terza persona è permesso condividere il controllo sull'oggetto
sessuale (la donna), oggetto proibito e inaccessibile, scaricando le frustrazioni in
una seduzione dove l'immaginario si riversa nell'immaginifico, in immagini
pubblicamente approvate.
L’alleanza è confermata dalla risata spontanea in cui la complicità di una terza
persona in questo mutuo abbandono della tensione (il “risparmio” di energia
psichica) è resa ovvia ad entrambi. Quest'economia cognitiva riguarda un doppio
piacere: il gioco verbale (nucleo) e il piacere di eliminare l’inibizione (rivestimento).
Lo psicologo dell’io, Ernst Kris (1952) ritiene che il piacere del gioco sia dovuto al
suo causare un effetto energetico nella psiche, per il beneficio ultimo dell’io
razionale, che ne emerge rinfrescato e fortificato. Ciò presuppone, comunque, che
l’io conscio sia il luogo dell’esperienza estetica; in un modello che ammette una
struttura ordinata, razionale: l’io come una forza stabilizzante e onnicomprensiva.
Lo storico dell’arte, E. H. Gombrich, che ha collaborato con Kris (1952), è stato
anch'esso incoraggiato dal lavoro di Freud sul meccanismo del gioco,
Eva beghin, prova di traduzione inglese-italiano.
06/12/2009
proclamandolo come “il modello germinale per ogni studio di creazione artistica”.
Egli rimarca che Freud abbia fatto un passo avanti nell’estetica psicoanalitica
quando descrive il gioco come una idea preconscia che è stata brevemente
sottoposta alla luce dell’inconscio.
Quindi ad essere importante non è tanto il contenuto ma la forma, la condensazione
del significato come avviene in sogno che è caratteristica del processo primario.
Gombrich sottoline che le due virtù maggiori che lo raccomandano ò agli storici e ai
critici d’arte sono quelle in cui si spiega la “rilevanza del mezzo e del suo controllo”
elementi spesso negati in molti approcci psicoanalitici verso l'arte.
Gombrich enfatizza inoltre l’importanza del ruolo del piacere del bambino nel
giocare con il linguaggio, Freud lo vede come parte del piacere funzionale connesso
al raggiungimento del controllo e della padronanza. Nonostante il riconoscimento
della relazione tra i processi primari e il piacere estetico, Freud non vede alcun
valore intrinseco nel processo primario. In “Nuove letture introduttive alla
psicoanalisi” (1933), ritiene che l’identità sia
“…l’oscura inaccessibile parte della nostra personalità; quel poco che sappiamo di
essa l’abbiamo appreso dai nostri studi sul sogno e sulla costruzione dei sintomi
della nevrosi. Può essere descritta solo come contrasto all’io. Ci avviciniamo
all’identità con analogie: la chiamiamo caos, un calderone pieno di eccitazione
ribollente.”
Un numero crescente di analisti all’interno della British School (Rycroft, Milner,
Winnicott) vedono il processo primario e la sua relazione con il processo secondario
fonte di importanti conseguenze per la comprensione dell’attività creativa e
artistica. La tendenza nella psicoanalisi contemporanea britannica è di connettere
fra loro i due modi, ponendoli come base a tutta l'attività mentale; la forza creatrice
del processo primario è quindi vista come parte dell'innaturale funzionamento del
sistema secondario. È attraverso lo sviluppo di un corpus di ricerche, ed il
Eva beghin, prova di traduzione inglese-italiano.
06/12/2009
contributo dell’estetica e della psicoanalisi, che gli aspetti della teoria clinica
possono essere riesaminati.
Di contro, entrambi Gombrich e Kris si sono concentrati sull’aspetto adattivo,
stabilizzante dell’esperienza estetica, che dipende dal modello di un io integro e da
una chiara demarcazione tra attività consce e inconsce. Il valore dell’arte, in
accordo a questo modello, risiede nel grado di adattamento alla realtà, si è convinti
che il sogno (processo primario) sia capace di tradurre ci che ò è inconscio, represso
e inaccettabile all’interno di un costrutto artistico, analogo all’io stabile, integro.
In questo rapporto, diventano comunicabili solo le idee inconsce che possono essere
adattate alla realtà di strutture formali, il loro valore condiviso risiede tanto negli
elementi formali quanto nell’idea. Come dice Gombrich, “il codice genera il
messaggio” (1966, p.36). Qui, Gombrich porta l’attenzione verso i limiti di una
forma ingenua di Espressionismo che vede il lavoro artistico come un esternazione
dell'universo interiore dell’artista. In accordo con questo modello è il subconscio
che determina la forma del lavoro. La posizione di Gombrich e Kris risiede nella
convinzione che il traguardo dell’arte sia ottenere controllo e stabilità nel mondo
esterno. Alla luce di questa posizione, l’arte è essenzialmente un fenomeno adattivo
che permette la comunicazione tra ciò che è inaccettabile e represso (inconscio) e
ciò che è capace di essere espresso a una realtà più ampia, sociale. L’arte è quindi
una forma di problem-solving, un mettere alla prova il mezzo, senza una tradizione
data.
L’approccio di Kris enfatizza il controllo dell’io sugli impulsi istintivi, per esempio lo
scuotimento ritmico del corpo durante la risata, un’attività dove un “antico piacere
del movimento viene riattivato e diviene socialmente accettato”. Egli argomenta che
il piacere dell’adulto nell’umorismo può essere “giustificato di fronte al superego” e
ciò emerge dal piacere del bambino nel gioco di parole. Similmente, Gombrich
(1966) richiama la teoria del gioco di Freud come sperimentazione innocente,
Eva beghin, prova di traduzione inglese-italiano.
06/12/2009
argomentando che il “gioco sociale” dell’artista, con forme e convenzioni
storicamente date, rispecchia una combinazione dell’attività preconscia e inconscia.
Nelle argomentazioni di Kris e Gombrich, possiamo domandarci se sia stato dato
sufficiente spazio alla risata e al gioco come correttivi della convenzione sociale.
Il lavoro dell’insegnate e teorico dell’arte, Anton Ehrenzweig, come quello di Kris,
guarda alle implicazioni della teoria del gioco e alla sua relazione con il
funzionamento del processo primario. In “Un nuovo approccio psicoanalitico
all’estetica”, Ehrenzweig sfida queste considerazioni romantiche, dicendo che la
psicoanalisi “si è allontanata dall’analisi della struttura oggettiva avvicinandosi
all’analisi dell’esperienza soggettiva”. Tali teorie sono diventate popolari con
psicologi come Fechner e Lipps, che hanno a turno influenzato lo sviluppo
dell’estetica di Freud.
Come Kris e Gombrich, Ehrenzweig crede che l’analisi del gioco di Freud (e la
funzione del processo primario che essa rappresenta) abbia particolare valore per
una comprensione più chiara degli aspetti formali dell’arte, nonché della loro
relazione con ci che Ehrenzweig (1967) chiama l’”ordine ò nascosto dell’arte”.
Inoltre sia Ehrenzweig che Kris fanno uno sforzo per de-enfatizzare le
interpretazioni patografiche dell’arte e per sottolinearne natura autonoma. Dove
Kris considera il processo primario come una forma di pensiero arcaico (da qui il
suo termine “regressione al servizio dell’Io”), Ehrenzweig vede il processo primario
come primordiale, caotico e incontrollato, dal punto di vista delle nostre modalità
di percezione razionali e consce. Di certo, egli sostiene (come fanno gli analisti
britannici M. Mmilner e C. Rycroft, per esempio) che c’è probabilmente meno
distinzione di quanto solitamente pensato tra il funzionamento del processo
primario e secondario. Ehrenzweig credeva servisse una revisione sostanziale della
teoria freudiana tradizionale per adattarsi agli elementi dell’esperienza artistica.
Una parte imponente del suo ultimo libro, “L’ordine nascosto dell’arte” (1967), è un
tentativo assertivo di rifinire e modificare un certo numero di concetti chiave
Eva beghin, prova di traduzione inglese-italiano.
06/12/2009
tradizionali della psicoanalisi alla luce delle sue stesse ricerche, e di quelle di altri
accademici della British School. questo aspetto del pensiero È di Ehrenzweig che lo
rende particolarmente significativo per questo studio; e che lo distingue dagli
psicologi dell’io, come Kris, che si concentrano sul ruolo stabile dell'io come sine
qua non dell’attività artistica.
Come noto, Freud (1900) vedeva il modo di pensare del processo primario come un
modo che mostrasse i meccanismi psichici di condensazione e rimozione
caratteristici del sogno. Queste attività si riferiscono non solo ai sogni, ma puntano
anche alla tendenza delle immagini di fondersi e simbolizzarsi l'un l'altra. In
accordo con Freud, questi sono processi che caratterizzano il funzionamento
dell'Es : ignorano le categorie di spazio e tempo, usano energia mobile, e sono
governate dal principio del piacere. Il processo secondario, d'altro canto, è orientato
all'Io. Obbedisce alle leggi della grammatica e della logica formale, usa energia fissa
ed è governato dal principio di realtà. Ad esempio, riduce il dispiacere della tensione
istintuale dato dal comportamento adattivo.
Freud credeva che i processi primari fossero ontologicamente e filogeneticamente
più antichi rispetto ai processi secondari - da qui i loro nomi - e considerava lo
sviluppo dell'io come elemento successivo alla loro repressione. I processi secondari,
nella visione di Freud, si sono sviluppati assieme all'io, adattandosi al mondo
esterno, collegati inestricabilmente al pensiero verbale. I processi primari sono
esemplificati nei sogni e nella struttura dello gioco; i processi secondari nel
pensiero. I due processi assomigliano molto da vicino ai simbolismi "discorsivo" e
"non-discorsivo" descritti dal filosofo ed esteta americano Suzanne Langer (1952), il
cui lavoro sarà discusso in relazione all'estetica della British School. (capitolo due,
sezione 2).
In che modo il processo primario si relaziona esattamente al meccanismo del gioco?
Ehrenzweig sottolinea come Freud "relazionasse l'effetto spiritoso di un buon gioco
Eva beghin, prova di traduzione inglese-italiano.
06/12/2009
attraverso formulazioni corrispondenti al processo primario nella mente inconscia".
Scopr anche che la struttura del gioco esprime un'aggressività ì repressa, un
significato osceno, attraverso le stesse forme del processo primario in cui un sogno
avrebbe simbolizzato il contenuto delle sue fantasie nascoste.
Freud fornisce esempi del modo in cui il meccanismo del gioco sia analogo a quello
del processo primario. In un gioco registrato da Heine, un pover'uomo si vanta sul
modo in cui era trattato da un parente molto ricco. Ma invece di parlare della
gratificante familiarità del parente, modifica la parola e parla del trattamento
"familionario" che riceve. Il neologismo "familionario" è creato dalle parole
"familiare" e "milionario" ed esprime un significato nascosto; l'uomo orgoglioso del
denaro non mostra una vera amicizia ma solo una cortesia superficiale che
sottolinea la sua superiorità sociale. L'apparente gratificazione, improvvisamente
rivela il risentimento del pover'uomo. Parole composte in questo modo sono
evidenti nei sogni, ma Ehrenzweig fa notare come di solito siano le immagini visive
ad essere fuse, nei sogni spesso combiniamo elementi appartenenti a molteplici
ambiti e la nostra mente conscia non potrebbe estrapolarne un significato.
Ehrenzweig evidenzia come ci siano altre caratteristiche condivise da gioco e sogno,
la rimozione è uno di questi esempi. Lo studio di un sogno potrebbe dare eccessivo
risalto a un elemento non importante e negare un dettaglio significante. Il
significato del sogno, dice Ehrenzweig, dovrà quindi dare ad un dettaglio poco
appariscente un contenuto insospettato, spostando l'attenzione all'ambito a cui esso
appartiene. Il gioco utilizza la stessa tecnica di spostamento. Sia il sogno che il
gioco potrebbero esprimere un significato attraverso l'uso dell'esatto opposto. La
nostra mente inconscia è capace di comprendere il significato nascosto perchè,
sostiene Ehrenzweig, "la tecnica della percezione inconscia e della creazione
dell'immaginario è meno differenziata rispetto al nostro linguaggio conscio e
all'immaginario”.
Eva beghin, prova di traduzione inglese-italiano.
06/12/2009
Freud ha confrontato il linguaggio del sogno con gli antichi linguaggi come il latino
che non differenziava significati opposti. La ragione per cui la nostra mente
inconscia comprende cos prontamente una condensazione ì senza senso come
"familionario", che fonde amicizia e ostilità, deriva dall'incapacità nel differenziare
gli opposti. Secondo la teoria di Ehrenzweig, questo graduale accostamento è
preceduto da una "dispersione" schizoide delle facoltà consce, e raggiunge da ultimo
un "limite oceanico" dove tutte le distinzioni sono fuse in una singola immagine.
Ehrenzweig crede inoltre che l'analisi di Freud riguardo al gioco coinvolga anche
"un vecchio problema estetico, collegando strettamente l'effetto spiritoso del gioco a
strutture oggettivamente definite che riguardano il funzionamento del processo
primario”. Egli pensa che si siano fatti pochi progressi nell'estetica psicoanalitica in
quanto le interpretazioni freudiane erano troppo focalizzate sull'analisi del
contenuto. Il fallimento della teoria classica nello "scoprire le radici inconsce
dell'arte" risiede nella negazione che esse esistano, conclusione che Ehrenzweig
rifiuta categoricamente.
D'accordo con la sua teoria, c'è un "ordine nascosto" nel caos menzognero del
processo primario che potrebbe essere percepito se noi ci rendessimo sensibili ad
esso, e gli artisti sono coloro che possono farlo nel modo più semplice. Questo
aspetto duale di indifferenziabilità (caos conscio da un lato e disciplina inconscia
dall'altro) ci riporta a ciò che Ehrenzweig identifica come il problema centrale
dell'estetica psicoanalitica: come possono le funzioni del processo primario,
implicate nelle caratteristiche di caos e disgregazione delle malattie mentali,
strutturarsi e risultare nella produzione di un lavoro creativo? Ehrenzweig crede sia
l' "indifferenziabilità strutturale dell'immaginario a basso livello" il comune
denominatore di entrambe, tema che l'ha preoccupato durante la sua analisi. In un
appunto che può essere considerato un omaggio dall'ordine nascosto dell'arte,
osserva che
Eva beghin, prova di traduzione inglese-italiano.
06/12/2009
“... la teoria psicoanalitica dovrà accettare che l'immaginario del processo primario
possegga un ordine invisibile in se stesso quando è coinvolto in un lavoro creativo.
Il grande psicanalista e storico d'arte, E. Kris, ha preparato la strada per rimodellare
il nostro concetto di processo primario suggerendo che la mente creativa può
permettere alle funzioni consce di passare ad una regressione controllata attraverso
il processo primario. Questo non significa ancora che il processo primario sia di per
sé accessibile al controllo e all'ordine.”
Dato che questa sotto struttura inconscia, l'"ordine nascosto, emerge da livelli più
profondi di quelli che modellano il sogno manifesto ed il gioco", l'estetica
psicoanalitica ha collezionato numerosi insuccessi nel cercare di definirla. La tesi di
Ehrenzweig esplora da molteplici prospettive, in una dimensione più ampia rispetto
a Kris, il modo in cui i processi dell' Es sono implicati nella creazione e nella
percezione della forma artistica.
Nonostante elogi la "brillante analisi dello gioco" di Freud, pensa sia strano che essa
non possa "avere un ruolo pacificatore nell'analisi dell'arte" quando "il campo
sembra essere stato preparato per l'entrata trionfale di Freud nel nucleo
dell'estetica." Questo fallimento di sviluppo in un'estetica psicoanalitica coerente
"avrebbe dovuto prepararci a qualcosa che era fuori luogo, o addirittura errato, nei
concetti odierni." Il "concetto mancante", dice Ehrenzweig, era la
“...matrice indifferenziata sotto i più superficiali riassunti, rimozioni e altre
cosiddette forme del processo primario. Queste forme più superficiali possono
essere irrazionali nel contenuto, ma non lo sono nella struttura formale della
Gestalt. Ho suggerito che le loro strutture siano una revisione secondaria imposta
sulla base della matrice indifferenziata inconscia che vi soggiace.”
Ehrenzwig sviluppa la sua argomentazione criticando l'approccio della psicologia
dell'Io. Essa colloca la forma inconscia attribuendo l'intera struttura estetica dell'arte al processo secondario: il lavoro della mente conscia e preconscia. Ciò riduce il processo primario dell'inconscio al "ruolo di fornitore di materiale grezzo non strutturato, fantasie selvagge e dannose, che occorre addomesticare e plasmare in primis attraverso il processo secondario affinché sia esteticamente apprezzato”.
Nonostante questa interpretazione possa essere coerente con gli studi della malattia
mentale, dove l'intrusione della fantasia inconscia mette a rischio la sanità del
paziente, Ehrenzweig sostiene che ci "non coincide con gli ò studi dell'arte", e
propone un'alternativa alla posizione data dalla psicologia dell'io di Kris riguardo
valore e ruolo del processo primario. Kris definisce la creatività come una
"regressione al servizio dell'io", la formula di Ehrenzweig sull'attività creativa
coinvolge un ritmo a tre fasi che può risultare o meno nella creazione di uno
specifico oggetto d'arte. La sua nozione di processo creativo è stata largamente
permeata dalla teoria dell'istinto duale di Freud, che fu sviluppata in modo più
completo nel lavoro di Melanie Klein. Questo modello esamina il legame dinamico
tra istinto di vita e di morte, e il ruolo strutturale della fantasia inconscia kleiniana, come base di tutto lo sforzo umano. Nel capitolo cinque, esploreremo come l'idea di Ehrzweig sul ritmo creativo sia stata significativamente plasmata da questo modello della mente klein ano, così come gli sviluppi nella British School sono stati guidati da analisti "post-kleiniani" come Milner, Winnicott e Bion.
Gli psicologi dell'io, come E. Kris, si sono opposti alla classica visione dell'arte come desiderio nevrotico, infantile che viene imprigionato nel lavoro d'arte. Per loro, il piacere dell'arte deriva da un gioco controllato dove il materiale infantile viene poi trasformato in un prodotto pubblicamente condivisibile. Questo approccio differisce dalla teoria di Freud sulla creatività come nevrosi, in cui ciò che è piacevole non è compimento di un sogno infantile, ma porta il processo primario in azione seguendo i bisogni dell'io. I modelli di Kris e Ehrenzweig sono supportati dalla seconda topografia della psiche di Freud.
Nel primo modello, Freud pensava che l'io fosse corrispondente per intero a conscio e preconscio; le energie istintuali erano confinate nell'inconscio. Il secondo modello, elaborato in "L'Io e l'Es" (1923), suggerisce che l'Io si sia sviluppato dalle energie istintuali derivate da sensazioni fisiche, quindi non ci sarebbe un legame logico tra io e inconscio. Similmente, il Super-Io ha anch'esso una componente inconscia.
Con il secondo modello, una codifica dell'inconscio non coinvolge
un'interpretazione rigida, ma deve prendere in considerazione l'interconnessione
tra sistema conscio e inconscio. Forze operative nell'Es sono operative anche in Io e
Super-Io. Cos i legami semplicistici conscio/inconscio, ì Es/Io, non possono più
sussistere; è l'Io che svolge una mediazione tra i due. Dove la psicologia dell'Es
privilegia la deriva dell'istinto e le fantasie correlate, la psicologia dell'Io guarda al modo in cui le fantasie sono manipolate dalla psiche.
La psicologia dell'Io coinvolge largamente se stessa con i meccanismi psichici che
mediano la relazione tra Io ed Es,nonchè con le conseguenze per il lavoro d'arte e il
pubblico. La visione kleiniana (British School) si focalizza sui processi psichici che mediano la relazione tra Sé e mondo, e come questo influenzi gli aspetti formali
dell'arte e dell'esperienza estetica. L'enfasi è posta su ciò che accade tra una psiche e l'altra, e sulla relazione tra artista e mezzo, pubblico e opera.
Nonostante la psicologia dell'Io si sia sviluppata all'interno dell'estetica freudiana tradizionale, non è stata capace di rivolgersi a pieno alla soggettività dell'esperienza estetica, e nemmeno ad osservare abbastanza da vicino le connessioni tra le forze istintuali della psiche (la teoria degli istinti di vita e morte) trattate da freud in scritti successivi, e che fa da base alla teoria di Klein. Contrariamente agli psicologi dell'io, Ehrenzweig prende in considerazione le connessioni tra gli istinti, evitando di ridurre la creatività ad una nozione di "regressione controllata". Egli sostiene che il processo creativo coinvolge una disgregazione psichica, sia del Sé che dell'immaginario affettivo, sotto la diretta influenza del Thanatos (istinto di morte).
Il desiderio di ricostruire il Sé e l'immaginario, attraverso le forze dell'Eros (istinto di vita) è il passo successivo nel processo.
Alcune delle importanti divergenze tra l'approccio psicologico dell'Io e una teoria
estetica fondata sulla relazione con l'oggetto, è palesata dalla differente enfasi nei lavori di Kris e Ehrenzweig. Ehrenzweig non rifiuta interamente la psicologia dell'io.
Come Kris, sostiene che ogni considerazione psicoanalitica sull'arte non dovrebbe
essere un'analisi dei contenuti della fantasia dell'Es, ma dovrebbe coinvolgere
influenze dinamiche, economiche e strutturali che appartengono al dominio dell'Io.
Sostiene inoltre che Io e Es evolvano entrambi dalla stessa matrice indifferenziata,
cioè dalle sensazioni tattili infantili.
La differenza cruciale tra Ehrenzweig e Kris si trova nei differenti ruoli che
attribuiscono alla percezione, e la sua relazione con i processi primari. Laddove Kris vede i meccanismi percettivi come parte “dell'area senza conflitti dell'Io",
Ehrenzweig crede fermamente che, lontana dall'essere una funzione autonoma
dell'Io, la percezione sia fortemente implicata nel lavoro dell'Es. Questa visione ha
importanti conseguenze nella sua considerazione della percezione creativa, che
enfatizza la componente libidica coinvolta.
Comunque, sia Kris che Ehrenzweig giungono ad una simile conclusione riguardo
la specifica capacità dell'artista. Concordano sul fatto che il processo primario
coinvolge la revisione di un diverso, più infantile (sincretistico) modo di
funzionamento, dove c'è un tipo particolare di interrelazione tra i due livelli di
esperienza. Ma laddove Ehrenzweig vede questo processo come parte del ritmo
naturale tra i vari livelli psichici, coinvolgendo disgregazione ricostruzione, Kris
costruisce un ambiente teoretico più rigido, delineando ogni attività artistica nei
termini di una "regressione controllata dell'io ai processi primari". (per ulteriori
analisi del confronto tra Freud, Kris e Ehrenzweig. vedere capitolo 5, sezione 1, a
seguire) Ehrenzweig evolve questo pensiero, collegando il ruolo del processo primario
all'istinto di morte - la forza distruttiva che permetterà la definitiva morte e
rinascita della realtà attraverso l'Eros. Egli enfatizza l'influenza della vita istintuale sull'esperienza percettiva e sul modo in cui le fantasie inconsce strutturano la nostra percezione della realtà. Questo porta a chiederci come gli oggetti vengano il primo luogo selezionati dalla percezione. La disintegrazione dell'Io non è vista come un'esperienza del tutto regressiva, opponendosi esplicitamente a Kris, che non da all'inconscio un ruolo costruttivo sufficiente nel processo creativo. Laddove Kris pensa al processo primario come essenzialmente una regressione primitiva alle fantasie primarie, Ehrenzweig afferma uno sviluppo inconscio che trasforma disgregazione e caos in un'esperienza costruttiva e ordinata, un "esame inconscio", dove Io ed Es si separano da una matrice indifferenziata di esperienza, un processo dove le percezioni razionali sono temporaneamente sospese. (questo fenomeno è stato studiato anche da Marion Milner nella sua analisi della "messa a fuoco ampia" e dello "sguardo fisso diffuso" caratteristici della percezione artistica. (vedere il seguente capitolo sei)
Come vedremo nella seconda parte, lo sviluppo dell'estetica psicoanalitica della
British School ha fatto molto per reindirizzare l'equilibrio tra l'approccio
patografico dei teorici della psicoanalisi dell'Es e le limitazioni degli psicologi dell'Io.
Gli sviluppi di Klein e della sua scuola hanno portato ad un approccio all'arte che è
capace di indirizzare il modo in cui le energie inconsce e istintuali ispirano la
creazione e la ricezione. Quest'approccio non riguarda una interpretazione
psicobiografica, e come per gli psicologi dell'io, si riferisce al lavoro artistico come risultato di un processo. Come abbiamo visto, l'approccio estetico degli studiosi come Kris, non si riferisce del tutto alla relazione tra artista e mezzo, e neanche all' intersoggettività dell'esperienza estetica. Ci è spiegato largamente ò dal fatto che tali teorizzatori considerano l'Io e il rinforzo delle sue difese come la ragion d'essere che permea il conflitto psicoanalitico. Al collegamento tra vita e morte non è dato un ruolo costruttivo nella creatività. Il lavoro di Ehrenzweig si basa sulle intuizioni di Kris e degli psicologi dell'io (e da una critica alla teoria della Gestalt), per incorporare i pensieri dell'ultimo Freud che furono sviluppati da Klein. Di conseguenza, il suo approccio unisce l'importanza del rapporto tra energie istintive, ad un'enfasi sul ruolo vitale della strutturazione della fantasia inconscia nell'arte.
VEDUTA D'INSIEME
La visione di Freud dell'arte, per quanto incompleta e in un certo senso limitata, è
indubbiamente stimolante. Era un uomo di cultura, molto preparato in filosofia e
nei classici, un avido collezionista di antichità. Il suo biografo, E. Jones afferma che egli non era realmente interessato da ciò che fa di un'opera un pezzo d'arte. Lionel Trilling, che aveva un grande rispetto per Freud, scrisse che "è sempre al di fuori del processo letterario. Tanto reagisce all'opera, quanto meno immagina il processo.
Non ha quello che noi chiamiamo sentimento della cosa"
L'approccio di Freud alla comprensione dell'arte era limitato da un certo numero di
fattori. In primis, dà troppo rilievo all'aspetto nevrotico dell'esperienza artistica, e la sua analisi su artisti individuali era spronata largamente dal suo bisogno di sviluppare e dimostrare la teoria psicoanalitica che stava elaborando all'epoca. Egli ammise che era meno capace di gestire gli aspetti tecnici e formali dell'arte, e che la psicanalisi non era capace di fare ricerche nei "segreti più profondi" della "misteriosa abilità" dell'artista. Egli non aveva elaborato la sua teoria sul gioco solamente per comprendere l'arte e il valore estetico, ma realizzò la sua importanza e il suo potenziale in quel campo.
La teoria di Freud del processo primario e la sua analisi della struttura correlata del gioco hanno portato a gettare le fondamenta di un approccio psicoanalitico all'arte e alla creatività che può essere indirizzato agli aspetti formali della disciplina, nonché al modo in cui essi veicolano la ricezione del suo significato. Ciò ha avuto importanti conseguenze per l'estetica psicoanalitica, in particolare attraverso il lavoro di Kris e Ehrenzweig. I loro contributi dimostrano come la teoria di Freud del processo primario e della struttura del gioco abbiano compensato il modello patografico a cui è associato Freud (e la critica psicanalitica classica). Come mostrerò in modo più approfondito nel successivo capitolo cinque, sia Kris che Ehrenzweig, con toni diversi, dimostrano che gli psicoanalisti possono parlare della natura del lavoro creativo senza ricorso all' "analisi ampia" e fare ricerche nella profondità della psicopatologia dell'artista.
I capitoli due e tre che seguono esploreranno i contributi significativi che la teoria kleiniana fornisce all'estetica psicanalitica: soprattutto attraverso la creazione di un legame tra gli aspetti formali, nello specifico estetici, dell'arte (aspetti che la psicanalisi tradizionale ha ignorato) e i meccanismi psichici specifici. A causa di questo concentrarsi sul ruolo formale, strutturale, della nostra fantasia inconscia così come del suo contenuto, la teoria kleiniana è ben preparata ad esplorare la relazione tra l'artista e il suo mezzo e l'incontro dell'osservatore con l'oggetto estetico.
Per gli psicologi tradizionali, l'interpretazione dell'arte è stata modellata sul
paradigma tra l'interpretazione del sogno e l'analisi dei simboli individuali.
Paradigma era irrealizzabile a causa della necessità di accedere all'informazione
biografica, e ciò rendeva l'interpretazione dell'arte una forma di lavoro d'indagine.
Come vedremo poi, Klein e i suoi collaboratori, non solo hanno rivalutato i
significati dei simboli, ma anche il processo stesso della formazione del simbolo (il
meccanismo responsabile di arte, sogno e fantasia) e il suo significato. Con questa
nuova analisi, non è tanto il ruolo dei simboli individuali o delle fantasie ad essere più importante, ma sono gli stessi meccanismi psichici ad essere implicati
nell'attività simbolica. Così, piuttosto di analizzare cosa ci sia "nel" sogno o "nel" lavoro artistico, la teoria kleiniana analizza cosa significhi l'attività di creare e fruire l'arte sia per l'artista che per lo spettatore - inoltre si potrebbe aggiungere che l'interesse non è tanto sull'opera in sé, quanto più sul processo creativo.